Serre

Le origini del nucleo urbano risalgono al medioevo, intorno al X secolo. Nel catalogo dei baroni normanni, il quale si riporta al 1152-
53, il feudo di Serre apparteneva a Guglielmo di Postiglione, mentrequello di Persano era tenuto da Tancredi di Altavilla. La Terra delle
Serre in Principato Citra, con tutta la baronia di Caiazza fu restituita nel 1415 a Roberto Sanseverino. Nel 1418 i feudi di Serre e Persano,
per la prima volta si uniscono in una sola mano e furono assegnati a Leonello Sanseverino, delineandosi così la costituzione della
contea di Caiazza. Con la morte di Leonello avvenuta nel 1420, la baronia di Caiazza si sfasciò e passò agli Orilia e dal 1443 al 1458 a
Lucrezia D’Alagno. Dal 1464 Serre fa parte della contea di Caiazza. Nel 1483 i feudi vanno a Giovanni Francesco Sanseverino. Con la
contessa Maddalena D’Aragona Sanseverino, che governò la Terra delle Serre e il feudo di Persano, dal 2 marzo 1532 al 1551, finisce la
serie di feudatari della Casa Sanseverino e inizia quella della famiglia De Rossi, prima come conti di Caiazza e poi come duchi delle Serre. I feudatari di casa De Rossi che si sono succeduti sono i seguenti: IfeudatariodeifeudidiSerreediPersano,D.Ercoledal 1551 al 1601; II feudatario D. Roberto Ambrosio, dal 1601 al 1626; III feudatario D. Giulio De Rossi, dal 1626 al 1632; IV feudatario D. Francesco, dal 1632 al 1649; V feudatario D. Giulio, dal 1649 al 1695; VI feudatario D. Giacomo, dal 1695 al 1701; VII feudatario D. Gerardo dal 1701, che lo rifiutò a favore del figlio D. Giuseppe con atto del 1 luglio 1752; VIII feudatario di Persano D. Giuseppe dal 1752 al 10 marzo 1758, quando divenne proprietà di Carlo III di Borbone. Dal 1758 all’unità d’Italia, tranne il decennio francese, Persano è sito reale dei Borbone. Dopo viene affidato al Ministero della Guerra e Serre è feudo fino alla legge eversiva della feudalità del 1806, diventando subito dopo libero comune. Oggi il Comune di Serre conta circa 4.000 abitanti. L’oasi naturalistica del W.W.F. di Serre Persano è situata nella parte alta della Valle del fiume Sele, ha una superficie di 110 ettari,
70 dei quali occupati da un bacino artificiale formato da una diga costruita negli anni ‘ 30 per irrigare la Piana del Sele. Iistituita nel
1980, a seguito di una convezione tra il Consorzio di Bonifica Destra Sele, che gestisce l’area dell’invaso e ne distribuisce
l’acqua, e il WWF cui è stata affidata la gestione naturalistica dell’area. L’ambiente dell’oasiWWFelaconfinante TenutaMilitare diPersanoformanounagrandeisolaverdeincuisisonomantenuteinalteratelecaratteristichenaturali dell’area. Nell’oasi sono state censite oltre 150 specie di uccelli, nelle limpide acque del Sele vivono molte specie di pesci, inoltre ospita, volpi, cinghiali, faine, donnole, ricci, moscardini, e la rara lontra. Le visite sono aperte al pubblico tuttol’anno,avisitatorisingoliegruppidaottobreamaggio.L’oasiè attrezzata conunCentrovisite,tresentieri natura,capannidiosservazioneearee perlasosta.
Il fiume Sele, uno dei più belli e dei meno inquinati fiumi d’Italia, il Sele e la valle che attraversa sono l’habitat di alcune specie acquatiche che ormai si possono incontrare solo in questi luoghi. Il Sele nasce alle pendici meridionali di una sella tra due colli del Montagnone di Nusco, ma la sua fonte principale è considerata la ricca
sorgente dal monte Paflagone che scaturisce più in basso presso Caposele. Dopo aver raccolto le acque del territorio di Contursi che producono un particolarissimo fenomeno di sedimentazione minerale causato dalle sorgenti termali, il Sele si unisce al Tanagro e, serpeggiando nella Piana di Paestum, riceve il Calore, che gli porta le acque degli Alburni e di parte dei monti del Cilento, dopo 64 Km sfocia nel Golfo di Salerno, presso Paestum.

Cosa Mangiare

Aquara

Aquara è un paese del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano posto a circa 500 m s.l.m. su di una collina, che raggiunge un’ altezza massima di 770 metri (tempa di Aquara), circondata dai Monti Alburni, ed è attraversato dal fiume Calore lucano, un affluente del Sele.
Il nome deriva probabilmente dalla presenza di acque sorgive in zona, difatti anche lo stemma civico raffigura un’ amazzone che sorregge due idre (vaso a tre manici), e da una di queste versa dell’acqua.

Le sue origini sono molto antiche. Forse fu fondata dai Greci, come attesta il ritrovamento di monete ed altri oggetti dell’epoca, anche se vi sono tracce di un insediamento antico risalente alla fine del IV sec. a.C. Nel Medioevo fu cinta con mura e torri che furono, in parte, distrutte nel 1246. Durante il dominio Aragonese le mura e le torri furono rifatte ed ampliate. Aquara fece parte del Ducato di Benevento e poi di Salerno. Fra i Signori che si alternarono anche il capo della disfida di Barletta, Ettore Fieramosca da Capua, conte di Alessano e di Ottaviano. È la città di Lucido di Aquara (San Lucido).

È rinomato come “il paese dell’olio e del vino”. A valle di Aquara, in località Madonna del Piano, brevi campagne archeologiche hanno individuato l’impianto di una villa rustica di età romana, di notevole interesse. Le ceramiche recuperate, contenitori per derrate alimentari, ceramiche da fuoco e da mensa, lucerne, permettono di fissare i termini cronologici della villa che, impiantata forse alla fine del I sec.a. C., è rimasta in funzione fino al V sec. d. C. E’ però da specificare che al momento la villa romana non è visibile ed i materiali rinvenuti dagli scavi sono esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Paestum. Aquara è adagiata all’ombra dell’antica rocca del Castello dove ancora oggi, al suo interno, si possono ammirare due belle fontane in pietra e le ariose decorazioni dipinte sotto la volta dell’ingresso. Molte sono le chiese che vi si trovano tra le quali la Chiesa di San Nicola, la Chiesa della Madonna del Carmine, la Cappella di San Rocco e la Cappella della Madonna del Piano.

Cosa Mangiare

Petina

Petina è un paese del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano posto a 650 metri sul livello del mare, in un pianoro alle pendici orientali dei monti Alburni, sotto i monti Forloso e Pietralata, e si affaccia sul vallone di Sant’Onofrio, già vallone della Colonna. La sua origine, stando a documenti ufficiali, risale attorno all’anno 1000. E’ stata Università autonoma fino alla sua elevazione a Comune. Tra i documenti più antichi vanno ricordati la pergamena conservata nell’archivio del monastero della Badia di Cava Dei Tirreni data 1174, e la pergamena conservata nell’abbazia di Montevergine. Inizialmente il suo nome era “Abetina “grazie ai numerosi abeti presenti che la rendono particolarmente caratteristica. Deriva dal latino abietina (abetaia, zona con abeti) che a sua volta deriva da abies, ossia abete. Il Santo patrono Sant’Onofrio si festeggia l’1 e il 2 agosto. In origine veniva festeggiata l’11 giugno, ma successivamente per consentire ai fedeli emigranti di partecipare alla festa, è stata posticipata al 2 agosto. Suggestiva è la processione che percorre le vie del paese che regala al petinese e al visitatore sempre nuove emozioni.

Cosa Mangiare

Castelcivita

Castelcivita è un paese del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano situato alle pendici meridionali degli Alburni. Sorge su uno sperone naturale, con case a cascata, a 587 m sul livello del mare. Il paese è indicato nei documenti Angioini con il nome di Civita Pantuliano, mentre in età aragonese, con il nome di Castelluccia, probabilmente per indicare, già dal XIII secolo, un piccolo centro fortificato. Si pensa che la recinzione totale di Castelcivita sia opera di Pandolfo di Fasanella, gran feudatario, il quale la fece costruire per ordine di Carlo I d’Angiò.

Il centro storico presenta l’antica struttura di fortezze e infatti è caratterizzato da vie e viuzze che si intersecano tra di loro e da innumerevoli scalini interrotti di tanto in tanto da qualche spiazzo seguendo l’andamento toponomastico del territorio. Interessanti sono i portali con architravi in pietra calcarea locale e piperno sui quali si possono ancora ammirare gli stemmi di nobili famiglie e pregevoli giochi geometrici. Molte sono le chiese presenti tra le quali ricordiamo la Chiesa di San Nicola di Bari, la Chiesa di Santa Sofia, il Monastero di Santa Gertrude, la Chiesa di Sant’Antonio e la Chiesa di San Cono V. e M.. Le principali attrazione turistiche del territorio sono senza dubbio le Grotte di Castelcivita, un complesso di cavità carsiche ricche di stalattiti e stalagmiti dalle mille forme. Si estendono per svariati chilometri nel massiccio degli Alburni, principalmente nei comuni di Castelcivita e Controne, ma solo 1,700 m sono accessibili ai visitatori. Le grotte sono aperte ai visitatori tutti i giorni.

A pochi passi dalle Grotte di Castelcivita è possibile trascorrere attimi di puro relax sulla riva del fiume Calore. L’Area Pic-nic Ischia di Pietratonda è la meta ideale per vivere qualche ora immersi nella natura, all’ombra dei pioppi e facendo il bagno nelle limpide acque del fiume.
Sdraiarsi sui ciottoli e lasciarsi avvolgere dallo scroscio delle acque delle piccole cascate circostanti regala sensazioni magiche che rendono l’esperienza indimenticabile.
E’ anche possibile navigare un tratto del fiume in canoa per godere appieno dello spettacolo di colori e luci dall’acqua. I resti di un antico mulino immerso nel verde rendono il contesto ancora più suggestivo.

Folklore

Festa della Patata di Montagna
Sagra del Fungo Porcino

Cosa Mangiare

Postiglione

Postiglione è un paese del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano posto a 615 metri sul livello del mare. Il nome Postiglione sembra derivare dal latino Pistillius. L’origine del borgo, è feudale, come testimonia la presenza di un castello Normanno dell’XI Secolo. Ampliato da vari signori con continue usurpazioni a danno del demanio dell’università, il feudo fu teatro di conflitti tra la popolazione e il baronaggio locale; assegnato ai Sanseverino e nel cinquecento ai Principi Carocciolo, conobbe lotte intestine durante la cosiddetta rifeudalizzazione del Seicento ed esplose in eccessi di violenze nel 1799 e nel decennio francese le mire delle più illustre famiglie nobiliari erano ampiamente giustificate dalle potenzialità economiche del territorio, che riuscì a tornare nelle mani del demanio solo con l’abolizione della feudalità. Alcuni storici fanno risalire il nome Postiglione alla cacciata degli abitanti dell’antica Paestum da parte degli incursori della Grecia antica. I paestani così cacciati, si rifugiarono sui Monti Alburni e qui diedero vita ad un nuovo insediamento che prese il nome di Poestiliones, Leoni di Paesto.

Affascinanti testimonianze storico-architettoniche del passato sono la Chiesa di San Giorgio a croce latina senza transetto, e il castello Normanno, in parte restaurato, con i lati due torri di età barocca che offuscano, ma solo in parte, le bellezze originaria del maniero. Il castello di Postiglione venne costruito verso il Mille da tre fratelli Normanni, ovvero Riccardo, Ruggiero e Guglielmo di Hauteville. Sotto gli Svevi e durante l’epoca aragonese il borgo è sede feudale, e Guglielmo di Postiglione ne è considerato il primo investito. I vari proprietari succedutisi si rendono protagonisti di occupazioni illecite a sfavore della universitas locale. Postiglione venne conferito ai Sanseverino, che possedevano la vicina Contursi, e in seguito dei Rizzo (Assenso del 1507). Carlo V d’Asburgo tolse a questa famiglia napoletana ogni diritto, per punire Michele, barone di Contursi e Postiglione di una presunta infedeltà durante la conquista del Regno sotto Odet de Foix, conte di Lautrec e Comminges. Questi due feudi passarono dunque al conte Girolamo Morone, sino al 1529, per rientrare in casa Rizzo, e da questi per motivi ereditari ai Caracciolo di Martina (sempre nel Secolo XVI). Il Seicento è caratterizzato da una particolare asprezza feudale. Tra gli ulteriori signori di Postiglione vi sono i patrizi napoletani Franco, ed i Garofolo. Il duca Domenico Garofolo comprò il feudo dal principe Antonio Giudice di Cellammare per una cifra di 30.000 ducati (31 luglio 1704). Il castello di Postiglione, l’intero feudo unitamente a quello di Controne, verranno permutati dai Borbone in data 28 settembre 1759 con le proprietà reali di Bonito, Isola del Morrone e Teverola, sino all’eversione della feudalitànel 1806. Re Carlo III di Borbone, così facendo, volle ingrandire la sua dimora venatoria di Persano.

Cosa Mangiare

Controne

Controne è un paese del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano posto a 210 metri sul livello del mare, alle falde dei Monti Alburni e immediatamente al di sopra del Fiume Calore. Ci sono diverse ipotesi sull’origine del nome. E’ possibile che derivi dal grecochondros, oppure dal nome di un personaggio longobardo Guntro. Possibile è anche l’ipotesi che il nome, contenente la parola contra, sia stato assegnato alla zona per indicare la contrapposizione (appunto contra) ad un altro paese, forse Castelcivita, con cui ebbe forti contrasti.
Deve le sue origini ad un gruppo di “esuli pestani”, rifugiatisi nel IX secolo d.c., dopo che l’allora Poseidonia, l’odierna Paestum, fu invasa da parte di un gruppo di Sibariti. Le monete raffiguranti il dio Nettuno rinvenute sul sito archeologico e i resti ancora visibili di un tempio con pavimenti mosaicati nella località “Pezza”, testimoniano una presenza nel periodo ellenico. L’economia di Controne è legata fortemente all’agricoltura. Si producono Olio d’oliva e i rinomatissimi Fagioli di Controne grazie ai quali ogni anno si svolge un evento importantissimo per l’economia locale: la Sagra del Fagiolo di Controne. Le caratteristiche più importanti, che fanno del Fagiolo di Controne un prodotto pregiato, sono di carattere fisico ed organolettico. L’alta digeribilità, la presenza di una buccia sottile, i tempi di cottura nettamente inferiori a quelle dei comuni fagioli, le sensazioni “al palato” decisamente uniche hanno contribuito a fare sì che Slow Food inserisse questo prodotto nelle 100 specialità italiane da salvare.

Folklore

Sagra del fagiolo bianco di Controne

Cosa Mangiare

Zuppetta di fagioli di Controne
fagioli al tozzetto,
fagioli e scarola,
pasta e fagioli,
lagana con i fagioli

Bellosguardo

Il territorio comunale di Bellosguardo comprende un’area montuosa del Cilento,tra il fossa Fasanella e il fiume Ripiti, all’interno del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Sulle origini di Bellosguardo non si conosce niente di preciso. Si presume fosse un avamposto durante l’alleanza di Fasanella con Paestum, molto tempo prima dell’era cristiana. Durante lo scavo effettuato per la costruzione di un edificio scolastico, si rinvennero alcune tombe del IV-III sec. a.C. Nel museo provinciale di Salerno si conserva un carteggio in cui sono elencati alcuni ritrovamenti di molte monete italiote, frammenti di vasi di impasto di ceramica orientale ed ambre, che fanno pensare che la zona fu abitata fin dall’ VIII secolo a.C. Comunque si sa con certezza che la valle, dalla fine del V sec. a.C., fu zona obbligata di passaggio per il commercio tra Posidonia, la valle del Tanagro e le colonie greche sullo Jonio, tramite una strada sulla quale è ricalcata, per la maggior parte, l’odierna statale 166. Questa strada aveva inizio da Valle Lausa e proseguiva fino al ponte di Castel S. Lorenzo. Qui si biforcava ed un ramo portava a Bellosguardo e, attraverso le colline della località In compenso e Monte Pruno, attraverso l’odierna “Valle del ritorno”, arrivava ad Atena Lucana allacciandosi alla via Popilia o Ania o Capua-Regium. È attraverso queste arterie che avvenivano gli scambi di merci tra Paestum e le colonie greche sullo Jonio. Bellosguardo si consolidò comunque in età medioevale e fu un centro molto importante durante il periodo feudale longobardo distinguendosi, in seguito, come baronia angioina. Nel 1695 il borgo divenne proprietà di Giacomo Pignatelli che lo cedette successivamente alla famiglia Caracciolo. Durante il Risorgimento molti cittadini di Bellosguardo dimostrarono spirito patriottico unendosi alle fila garibaldine.
Tra le cose più importanti da vedere a Bellosguardo c’è la chiesa parrocchiale di San Michele, dove all’interno troviamo alcuni affreschi di Pasquale Avallone, un’artista salernitano. L’altra chiesa importante è quella dedicata a Santa Maria delle Grazie, che si trova vicino al convento dei Padri Minori di S. Francesco, risalente ai primi del ‘500. All’esterno della chiesa troviamo un portale decorato con due leoni in pietra. All’interno troviamo una statua lignea raffigurante la Madonna delle Grazie, e un importante affresco attribuito alla scuola di Giotto.

Cosa Mangiare

Ottati

E’ un paese del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano posto a 530 metri sul livello del mare, alle pendici meridionali dei Monti Alburni. Di origine medievale ha la caratteristica formazione a grappolo, che digrada dolcemente verso la sottostante valle del Calore.È dominato sul versante Nord da una rupe che lo protegge dai rigori del clima invernale e sulla quale si notano le grotte abitate dai monaci Basiliani poi adibite a ricoveri per greggi e pastori, la più conosciuta e la grotta di S. Croce, oggi del tutto abbandonate.
Il paese fu fondato nell’anno 1100 presumibilmente da coloni greci che avevano abbandonato l’antico paese di Civita, i cui resti, risalenti al VI sec., sono ancora oggi visibili. Molto probabilmente un gran numero di pastori e mandriani del territorio di Fasanella, essendo questa zona assai ricca di pascoli, vi costruirono nel tempo alcune abitazioni che, aumentando di numero, diedero origine al primo centro abitato. Da questo presupposto deriva anche il nome di Ottati, che dal latino, “Optatus“, sta ad indicare che i pastori optarono per tale luogo ben adatto alla pastorizia. Indipendentemente da tale presupposto storico, con maggiore certezza si fanno risalire le origini medioevali del paese intorno al XIII secolo. Ottati fu dapprima feudo di Capece Celsota, in seguito proprietà di numerose famiglie nobili. Risorse dalle macerie a cui lo ridusse Federico II di Svevia e nel 1700 il borgo appartenne alla potente famiglia dei Caraguso -Maricenda.

L’originalità del borgo è dovuta senza alcun dubbio al centro storico che può considerarsi una vera e propria pinacoteca a cielo aperto grazie la presenza di ben ottanta murales realizzati da artisti provenienti da varie regioni italiane che danno un tocco di colore e vivacità al grigio di case, piazzette e slarghi.
Il territorio è in buona parte costituito da montagne ricche di boschi, la zona collinare è posta a valle dell’abitato. Caratteristici sono in zona notevoli fenomeni superficiali del carsismo, costituiti da doline e campi solcati, mentre nel sottosuolo numerose e di grande valore sono le grotte (Grave dei Gatti, Conca di Rupistella, Grava Sarrauto). L’agricoltura e la pastorizia sono le attività preminenti, per cui grano, olio e latticini sono i prodotti principali. Però non mancano attività artigiane per la lavorazione del ferro, alluminio e legno.

Molte le Chiese presenti in paese tra le quali ricordiamo la Chiesa di San Biagio, costruita tra il 1180 ed il 1230 e ampliata nel 1432 perché insufficiente al notevole aumento della popolazione, per l’esodo di intere famiglie che avevano definitivamente abbandonato a cittadina di Fasanella per la peste e un’invasione di cavallette; Il Convento dei Domenicani, consacrato nel 1496 e soppresso nel 1807; Il Santuario di Cordoneto, dal XVIII secolo è meta di pellegrinaggi, nel sepolcreto si custodiscono le reliquie dei Santi Martiri Urbano e Massimo; Il Convento dei Cappuccini, fondato nel 1602, attualmente è in pessimo stato di conservazione, la chiesa annessa era dedicata a S. Francesco d’Assisi e vi si conservava la reliquia della Sacra Spina e la Chiesa SS. Annunziata che subì nel corso dei secoli dei mutamenti, nel senso che fu ristrutturata più volte con l’aggiunta di pareti, di stucchi, di altari e nel 1618 lo scalpellino Giacomo Antonio Caruso da Petina scolpì il portale di pietra viva, fregiato da elementi eucaristici.

Monumenti e bellezze naturali

Monte Civita, interessante sito archeologico, ove sono localizzati i resti di un insediamento rurale databile intorno all’anno 1000
Santuario della Madonna del Cardoneto con statua della Madonna risalente al XV sec. Chiesa del Santo Patrono Biagio, con portale in pietra con l’Eterno Benedicente. La chiesa, divisa in tre navate, presenta una volta riccamente affrescata. Splendidi due dipinti su tavola (ora depositati presso la Soprintendenza): il Sangue Redentore (1590) di ignoto pittore fiammingo e la Circoncisione. Pregevole la scultura in argento fuso e sbalzato del Santo del 1750 Chiesa dell’Annunziata (con portale in pietra del 1618, con scolpite le figure della Vergine Annunziata e dell’Angelo Annunciatore nelle volute superiori) con annesso Convento dei Domenicani. Al lato opposto del magnifico chiostro rinascimentale è sistemato il Teatrino Comunale Convento dei Cappuccini Chiesa della Vergine delle Grazie risalente al ‘500

Le Bellezze Naturali

Vuccolo della Carità, da dove si può ammirare la parte bassa del Bosco di Ottati, con lo sfondo del Monte Civita Rifugio Panormo Fontana del Lauro fuso e vetta dell’Alburno (1742 mt).

Il Monte Civita, è un sito archeologico dove è possibile ancora visitare i resti di un insediamento rurale risalente all’anno Mille;
il rifugio Panormo (la cui vetta dell’omonimo monte si staglia a 1742 m.s.l.m. ed appartiene alla catena appenninica dei Monti Alburni che qui prende il nome di “Dolomiti del Sud”) – ricco di boschi di faggio, di cavità carsiche e inghiottitoi come grave e doline. Meta preferita dagli escursionisti perché proprio da qui è possibile intraprendere vari sentieri, districandosi tra le spelonche di Campo Farina, le sorgenti del fiume Fasanella e la Grotta di Santa Croce, quella che un tempo fu rifugio di briganti e dove è ancora conservata la pietra su cui preparavano la polvere da sparo.

Folklore

Festività del Santo Patrono Biagio ad Ottati
Sagra della Sfrionzola e della Salsiccia Paesana
Ottati Etnomusic Festival
Ficus in Tabula- I gusti del Fico Dottato

Cosa Mangiare

Spaghetti con gli asparagi
Sfrionzola, piatto tradizionale a base di carne di maiale soffritta e peperoni sott’aceto
Melanzane arraganate, prendono il nome dalla presenza dell’origano
Zuppa di cavolfiore
Frisillini o Morsellini, saporitissimi biscotti al miele
Deliziose, pasticcini formati da due biscotti di pasta frolla con in mezzo crema pasticcera e granella di nocciole tostate

Come Arrivare

Dalla A3 prendere l’uscita Campagna e proseguire in direzione Albanella/Controne, poi proseguire per Castelcivita e infine per Ottati.

Corleto Monforte

Corleto Monforte è un paese del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano posto a 683 metri sul livello del mare, ai piedi dei Monti Alburni ed a ridosso del Bosco di Corleto. Costruita su un bastione roccioso ai lati dei torrenti Rapi e Palata-Piedilarme, il paese annovera, nel suo territorio, circa 3500 ettari di boschi, ricchi di aceri, tassi, agrifogli, sorbi, faggi e castagni, ma la particolarità è l’abete bianco. Animale tipico della fauna locale è il gatto selvatico.
L’origine del nome risale al termine latino Coryletum, traducibile come bosco di noccioli (Corylus avellana). Il termine Monforte deriva invece dai locali feudatari. Il Centro Storico del paese, ben conservato, è stato recentemente restaurato e dotato di percorsi turistici. La parte terminale è sulla punta della gravina ed è costituita da una piazza a balconata che affaccia sulla valle del Fasanella. Suggestiva è la piazza Diana, cosiddetta perché si trovava nei pressi del tempio dedicato a Diana “Dea della caccia”. Con la venuta di Cristo, secondo la tradizione, fu trasformato in cristiano, con la denominazione di S. Maria dell’Elice. La chiesa di S. Barbara, edificata nel 1762 in sostituzione di quella di S. Maria dell’Elice, come si rileva dalle iscrizioni nel frontespizio della stessa, è la più grande del paese. Nella medesima si osservano delle antiche ed eccellenti pitture, magnifiche opere di scultura, fra cui la bellissima statua di S. Barbara, protettrice del paese.

Sulla parte sud occidentale dei Monti Alburni si trova il Bosco di Corleto, una grande area forestale costituito principalmente da alberi di faggio ed è contiguo con l’area, più meridionale, di Pruno. Nel centro del paese si può ammirare il Museo naturalistico degli Alburni, nato nel 1997, è un’ampia struttura di monitoraggio faunistico e di ricerca scientifica nel campo biologico.

Non può mancare una visita al Museo Naturalistico degli Alburni, che offre una testimonianza importantissima del patrimonio faunistico continentale, con la sua esposizione permanente di vertebrati ed invertebrati della fauna europea, comprendente circa 530 specie di uccelli, 60 specie di mammiferi, crostacei (decapodi del Mediterraneo) ed insetti (oltre 20.000 esemplari). Esiste, inoltre, a supporto dell’attività di studio e ricerca una fornita biblioteca.

Le Bellezze Naturali

Museo Naturalistico degli Alburni, che offre una testimonianza importantissima del patrimonio faunistico continentale, con la sua esposizione permanente di vertebrati ed invertebrati della fauna europea, comprendente circa 530 specie di uccelli, 60 specie di mammiferi, crostacei (decapodi del Mediterraneo) ed insetti (oltre 20.000 esemplari). Esiste, inoltre, a supporto dell’attività di studio e ricerca una fornita biblioteca Chiesa di Santa Barbara, dove prima sorgeva un tempio dedicato a Diana, della caccia, quindi protettrice della cacciagione, presente in abbondanza per in numerosi boschi. La chiesa si presenta a tre navate con altare maggiore in marmi policromi ed organo monumentale del 1802 della bottega dei Carelli. Eretto su una roccia sorge il campanile del 1825 Torre medioevale Chiesa del Rosario, che conserva il dipinto settecentesco La Vergine del Rosario con i Quindici Misteri Chiesa di San Giovanni Battista, edificata nel 1568. La statua del Santo fu acquistata a Napoli nel dicembre del 1719 e portata a Corleto Monforte con un mulo Portale rinascimentale di Casa Ferraro Chiesa di San Teodoro, con portale in pietra del XIII sec. Essa costituisce un vero e proprio belvedere sulla suggestiva Valle del Calore. La statua della Vergine è di stile bizantino, a testimonianza della sua importazione dalla Grecia Santuario della Madonna della Selice, fondato verso il VI sec. d.C. Piano del Bue, resti di un insediamento urbano di origine romano-lucana Timpa degli Antichi, resti di insediamenti rurali, raggiungibili solo a piedi Montagnola, splendido bosco di faggi ed aceri.

Folklore

la sagra del caciocavallo e formaggio (14 agosto)
la Festa della Montagna a luglio .

Cosa Mangiare

 

Sicignano degli Alburni

Le Bellezze Naturali
Piedi La Serra. Nella zona sono stati effettuati ritrovamenti collocabili tra l’Eneolitico ed il Bronzo medio e presenta una notevole documentazione archeologica risalente all’epoca romana repubblicana.
Castello Giusso, a pianta poligonale, domina il paese dall’alto di un costone roccioso e fu fatto costruire dai Principi Longobardi di Salerno
Ruderi del Castello di San Nicandro, risalente al X sec., conserva ancora l’imponenza ed il fascino che una volta lo caratterizzava. Il castello è raggiungibile solo a piedi mediante una strada in terra battuta
Ruderi del Convento dei Cappuccini, costruito nella seconda metà del XVI sec.; è raggiungibile attraverso una strada lastricata in pietra. A pianta quadrangolare esso è a tre livelli con archi a crociera. È visitabile solo il suo giardino
Chiesa di Santa Maria dei Magi, edificata nel XV sec., con possente campanile.
Chiesa dell’Incoronata, antica osteria borbonica chiamata regio-capuam, successivamente dedicata a luogo di culto e pellegrinaggio
Chiesa di San Giovanni Battista, che presenta un campanile barocco ed un affresco murale raffigurante Santa Lucia. Una lastra sepolcrale ricorda che un tempo veniva utilizzata anche come luogo di sepolture
Chiesa di Santa Maria del Serrone, con un bel portale di gusto rinascimentale. Vi è, all’interno, un interessante Lavatoio Pubblico del XIX sec.
Chiesa dell’Annunziata, di impianto settecentesco
Chiesa di Santa Maria dei Martiri, edificata nel 1538
Santuario della Vergine Incoronata
Chiesa di S. Margherita, con un campanile in stile barocco, all’interno della quale vi sono sculture seicentesche con stipiti rinascimentali ed un coro proveniente dalla Chiesa di San Matteo, oggi ridotta a rudere. La chiesa è a tre navate e quella centrale termina con un’ampia abside
Vuccolo dell’Arena, con boschi di castagno, carpino, faggio e piante di tasso
Monte Panormo, vetta maggiore del massiccio degli Alburni.